Chi ha inventato la caffettiera moka?

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GabrielePensa
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Chi ha inventato la caffettiera moka?

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La caffettiera moka fu inventata ed usata per la prima volta nel 1933 da Alfonso Bialetti. Negli anni è stata riprodotta in molti modelli diversi, ha modificato il look e i materiali, ma è ad oggi conosciuta come un prodotto Made in Italy.
Tuttavia non tutti sanno le origini delle prime caffettiere che sembra siano francesi e risalenti al 1819.

"Un fatto curioso di cui relativamente poche persone sono a conoscenza, è che la caffettiera napoletana ha in realtà origini francesi, essendo stata ideata dal parigino Morize nel 1819 [facendo una prima versione di caffettiera rovesciabile], e successivamente perfezionata a Napoli [in materiali di latta o stagno]. Fino ad allora il caffè era preparato nei samovar, immergendo nell'acqua un sacchetto di tela contenente la polvere di caffè e legato con un cordoncino.

Precedentemente, a partire dai primi decenni dopo la scoperta delle Americhe fino al Settecento, in Europa si usava semplicemente bollire la polvere nell’acqua, una modalità che rendeva difficoltoso bere il caffè in quanto si portavano alla bocca i fondi, che davano fastidio.

La prima caffettiera di cui si ha comunque notizia è quella etiope, detta jabena, un contenitore di terracotta che si faceva sempre più stretto fino ad arrivare al collo e munito di beccuccio, mentre in Turchia avevano l’ibrik, comunemente usato ancora oggi e con esso si prepara, appunto, il caffè alla turca, e che richiede appositi utensili per essere fatto correttamente." (Citazioni da: vesuviolive.it/cultura-napoletana/48126-la-caffettiera-napoletana-non-fu-inventata-un-napoletano)

Samovar Rame e Ottone Francia XIX secolo
Samovar Rame e Ottone Francia XIX secolo
Prima Caffettiera napoletana
Prima Caffettiera napoletana
Prima_caffettiera_napoletana.jpg (14.09 KiB) Visto 2396 volte
La moka per il caffè di casa così come la conosciamo noi invece fu poi perfezionata in Italia: "Bialetti ricavò la sua ispirazione osservando la moglie fare il bucato con una lavatrice chiamata lisciveuse (da liscivia, un tempo diffuso detersivo economico); in questa lavatrice, si aveva una sorta di caldaia (in cui si mettevano i panni, l'acqua e il detersivo) con un tubo, la cui estremità superiore era forata; giunta ad ebollizione, l'acqua risaliva lungo il tubo, qui, si raffreddava e riscendeva, sciogliendo la liscivia, che poteva meglio spargersi sui panni.

Per fare il caffè con la moka, si riempie innanzitutto d'acqua il bollitore o caldaia (elemento A; figura tabella informativa a sinistra) fino a sfiorare il livello della valvola di sicurezza, e vi si inserisce il filtro dosatore, metallico e a forma di imbuto, detto "imbuto filtro". In quest'ultimo, si introduce il caffè, che non deve essere pressato eccessivamente; quindi, viene avvitata la parte superiore chiamata bricco o raccoglitore, dotata di un secondo filtro detto "filtro piastrina".

Mettendo la moka sul fuoco (non troppo alto), l'acqua si riscalda, fino a raggiungere una temperatura inferiore a quella di ebollizione (intorno ai 90 °C, secondo esperimenti specifici), tuttavia sufficiente a provocare un idoneo aumento della pressione. La pressione del vapore saturo soprastante aumenta, provocandone l'espansione.

Espandendosi, il vapore saturo comprime e costringe l'acqua a salire e passare per l'unica via d'uscita: l'imbuto che conduce al filtro. Giunta a metà strada, l'acqua calda passa attraverso la massa di caffè producendo la bevanda per percolazione. Infine, il caffè sale e va a depositarsi nel bricco passando attraverso una cannula detta "camino".

La pressione raggiunta con questo metodo è leggermente superiore a quella atmosferica, ed è possibile raggiungere temperature più alte che con altre caffettiere, come ad esempio la napoletana. L'acqua nel bollitore comincia a bollire solo alla fine della preparazione, quando buona parte di essa è già risalita nel raccoglitore. Una guarnizione assicura la sicurezza dell'avvitamento ed una valvola di sicurezza previene un aumento eccessivo della pressione nella camera d'ebollizione (dovuto di solito ad otturamenti).

Il filtro ad imbuto permette all'acqua di percolare attraverso lo strato di caffè macinato; successivamente, il filtro piastrina (che ha i pori molto più piccoli dell'altro) trattiene le particelle solide dal percolato e restituisce il liquido pulito, ovvero privo di corpuscoli di caffè macinato.

Etimologia

L'origine del nome dell'apparecchio risiede nel nome della città di Mokha in Yemen, una delle prime e più rinomate zone di produzione di caffè, in particolare della pregiata qualità arabica. Di questa qualità speciale si trova testimonianza nel capolavoro di Voltaire, Candido, quando il protagonista, in viaggio nell'allora Impero Ottomano, viene ricevuto da un ospite che, tra le altre cose, gli offre una bevanda preparata «con caffè di Moca non mescolato con il cattivo caffè di Batavia e delle Antille» (Wikipedia)


Invece un primo brevetto per la macchina del caffè espresso risale al 1884 ad opera di Angelo Moribondo. Poi l'industrializzazione della macchina del caffè avvenne nel 1901 grazie a Luigi Bezzera che la brevettò. La commercializzazione della macchina del caffè espresso nei locali pubblici si deve a Desiderio Pavoni.

Sulla storia di come si preparava il caffè c'è anche un antico testo di William H. Ukers del 1922 “All About Coffee (Tutto Sul Caffè).


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